I
Mestieri del primo Novecento
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Progetto
di Offerta Formativa
"I
segni del Tempo"
Classi
4a - 4b - 5a - 5b - 5c
Anno
Scolastico 1999/2000
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La
Scuola Elementare " A. Corciulo " di Salve, nell'ambito del
Piano dell'Offerta Formativa, ha presentato questo suo progetto di
riscoperta, intitolato "I
Segni del Tempo", incentrando la sua attenzione sui mestieri del
Primo Novecento.
Si
vuole, così, collegare, attraverso una sorta di filo invisibile, le
diverse generazioni, che si susseguono nel nostro paese, nella convinzione
che il proprio patrimonio di Valori possa essere comunicato perché "nulla
sia accaduto inutilmente o
dimenticato !".
Una
mostra degli strumenti artigianali, un filmato sul tema e uno spettacolo
di canti e balli del tempo passato, hanno completato l'attività
culturale dell'anno scolastico 1999/2000.
Il
Fornaio
Nel
nostro paese l’attività del fornaio, svolta nei forni in pietra,
resiste ancora oggi alla modernità.
Nei
tempi passati la nostra comunità, pur vivendo negli stenti della generale
povertà, era a contatto con un mondo semplice e tranquillo ed aveva ,
come risorsa principale, il grano.
Di conseguenza sulla tavola non mancava
mai il pane. Le massaie lo impastavano in casa.
Con
il carretto il fornaio passava dalle abitazioni per portarlo al forno.
Il
mestiere del fornaio era ed è , tutt’oggi, molto faticoso. La mattina,
mentre tutti dormono, il fornaio è già al lavoro per farci avere, di
buon’ora, pucce, panetti e
pizzi fragranti e freschi.
Lu
pane fattu 'ccasa
Un
tempo le famiglie
contadine usavano fare
il pane in casa con la farina di grano. Esso veniva poi portato dal
fornaio, che lo cuoceva nel
forno di pietra con frasche di ulivo .
La
massaia , all’alba , sistemava sulla “mattra “(madia ) la farina a
forma di mucchio , sulla cui sommità apriva un foro nel quale , insieme al
“lavato “ (lievito) e al sale , versava una quantità di acqua tiepida,
pari alla metà del peso della farina.
Da
quel momento cominciava il lavoro più duro , quello dello ”scanare” (
lavorare con le mani la pasta fino a renderla più compatta e meno umida).
La pasta veniva, così, energicamente schiacciata con pugni, allargata,
riunita, girata e rigirata molte volte.
Dall’impasto
la massaia ne staccava un pezzo e ad esso dava la forma del ‘panetto’.
Successivamente i ‘ panetti’ venivano sistemati su tavole e
protette con coperte di lana, perché lievitassero bene.
Lu
Furnaru
Mentre
tie sta' dormi lu furnaru
sta
all ' erta e prepara lu lavatu.
Alle
cinque de la sira va se curca,
alle
dieci , prontu già, lu trovi
‘zzatu.
A
menzanotte 'mpizzaca lu focu,
alle
doi tocca mme manisciu
ca
le massare spettane cu vò.
Cu
lu traineddu a mmanu
a
spinta d'ommu, feddhiscia lu silenziu
de
la notte e dice intra de
iddhu sotu,sotu
'Ci
sape ci la Nzina ieri ha capitu
ca
era 'ppuntata pe la prima
cotta.
Rria
a nanti lu purtune de la Nzina
e
dice, senza ddiscita otra gente,
"
Ccuccia lu pane cu nu' pia vientu,
se
no daventa tuttu ncaddupatu
e
poi te minti alli quattru vienti
e
dici ca lu Ntoni è nu stunatu."
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Il
Barbiere ed il Calzolaio
A
Salve, nel primo novecento, la professione del barbiere era collegata a
quella del calzolaio.
A
quel tempo i contadini non potevano permettersi di farsi fare un paio di
scarpe, ma potevano solo farsi riparare quelle che avevano.
I
signori invece chiamavano presso le loro abitazioni il calzolaio, il quale
rilevava la forma del piede e faceva scegliere la qualità della pelle.
La
professione del barbiere rendeva di più rispetto a quella del calzolaio,
infatti il salone era sempre pieno di clienti.
I
nobili ricevevano il barbiere presso la loro abitazione due volte al mese
per il taglio e due volte la settimana per la rasatura
della barba.
L'artigiano
possedeva due stanze collegate: in una svolgeva l'attività di calzolaio,
nell'altra quella del barbiere.
Il
salone del barbiere all'inizio era illuminato da grossi candelabri, in
seguito fu montato l'impianto a cassometro-carbureo.
Il
salone era arredato con due poltrone di legno e con diverse sedie per i
clienti e c'era tutto l'occorrente per il lavoro.
La
doppia attività del barbiere-calzolaio durò fino al 1949, almeno nel
nostro paese.
Tra
questi artigiani sono da ricordare
a Salve Maestro Giovanni Salvi e Maestro Nicola Turi. Le loro botteghe
erano ubicate in Via Roma e Piazza della Repubblica.
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Lu
Barbieri
Se
minte la vantili a 'nnanzi allu pettu
E
te dice : “ Ci cumanni , Signuria?”
“
Famme la barba e puru lu baffettu,
ma
accortu cu no’ faci fesserie!”
Zicca
lu penneddhu,
nchioma
e nchioma
intra’
lu casciteddhu de sapune,
poi
pìa ‘nnu rasulu senza filu
e
‘ncumenza a ranfisciare ‘nfaccia tua.
“
Mannaggia, ci t’ha data la patente
cu
faci lu barbieri contropilu!
Si’
pesciu de nnu scarparu squaternatu! “
All’urtimu
se zicca la pumpetta
E
te ‘nprofuma bonu, bonu.
Poi
dice soddisfattu allu vagnone:
“
Dilli ca vene ddoi lire sulamente!”
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Il
Fabbro
Il
fabbro, nella sua bottega, arroventava il ferro alla ‘forgia’ per
dargli la forma desiderata. Costruiva, in questo modo, serrature e
relative chiavi, che, pur essendo rudimentali, erano molto funzionanti.
Costruiva i ‘capatali’ ( spalliere da letto ); realizzava cancelli ed
inferriate dalle forme molto belle senza usare le moderne saldature , ma
piegando il ferro a contenere, come in una rete di incroci di linee
variegate, il tutto.
Anticamente
il fabbro svolgeva , anche, il lavoro del maniscalco, cioè si occupava di
ferrare i cavalli, preparare i cerchi delle ruote dei carri e gli attrezzi
di lavoro dei contadini.
L’officina
del fabbro era attrezzatissima: la ‘forgia’ per riscaldare il ferro,
il ‘bancone’ come tavolo di lavoro, l’incudine sulla quale dare
forma al ferro arroventato con abili colpi del suo pesante martello ed una
parete adorna di tenaglie, lame, pinze e punteruoli vari.
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Lu
Farraru
Lu
farraru dà 'na tirata a llu
mantice,
'mpizzaca
lu focu
e la forgia arde
e
lu fierru se scarfa a picca a picca.
Lu
farraru, grande artista,
russu
lu caccia lu fierru,
lu
storce, lu ndrizza,
li
dà la forma ca chiù li piace.
L'offcina
è tuttu 'nu cuncertu
De
mazza e marteddhu.
Pe'
ogni pizzu se spannenne le fuciddhe,
Ca
parene tante lucerneddhe.
Lu
farraru fatica e canta
E
lu marteddhu batte su l'incudine
E
pare ca face lu 'ccumpagnamentu.
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Il
Carradore
Un
altro dei mestieri ormai scomparsi nel nostro paese è quello del
carradore. Con l’aiuto di pialle, asce, seghe e scalpelli modellava il
legname e riparava i raggi della grandi ruote del ‘traìno’ ( carro
per i lavori ) o dello ‘ sciarabà’
(
calesse da passeggio ).
Telai,
stanghe laterali, freni rudimentali erano i punti deboli del carro e il
lavoro paziente del maestro serviva a ricostruirli e rendere funzionale il
tutto. Si potevano costruire anche le carrozze per le famiglie signorili.
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Il
Pescatore
Con
più di dieci chilometri di costa ed un mare ancora pescoso, la nostra
Salve vanta un’antica tradizione nel settore della pesca.
Il mestiere
del pescatore era molto faticoso: ci si doveva alzare di notte per recarsi
nella marina di Torre Pali a tirare fuori dagli “strazzi “ (locali
di deposito delle attrezzature del pescatore) le reti e le nasse.
Anticamente
le reti erano in cotone, oggi sono in nylon. Le nasse, invece, prima erano
fatte di giunco, mentre oggi sono di plastica.
Le
reti si mantengono in verticale nel
mare per mezzo del piombo pesante che la tira giù, formando una parete
dove il pesce si impiglia, mentre rimangono a galla grazie ai
galleggianti, fatti di
sughero una volta , mentre oggi sono di
polistirolo.
Il
pescatore riparava le reti , quando si bucavano, con l’ “acucedda “,
sulla quale era raccolto il filo.
Lu
Maranaru
Nu’
fisca chiui lu vientu de punente,
lu
mare s’acquetatu, pare oju,
cu
lla sicca pare tutta l’erba.
Le
varche, passànnu, ‘ncrespene lu mare,
e
l’ondiceddha cchiù piccinna pare.
Lu
‘ndoru de l’alaga se sente
E
qualche pisceddhu all’isca vene.
Lu
rusciu nu’ sse sente,
Ma
è sciaccuizzu
E
lu maranaru a ‘’nterra chiu nu’ nc’è.
E
ssutu fore cu cala le riti,
Osci
ca è tiempu bonu, ‘nc’è speranza
De
‘nchire lu portafoju e puru panza.
La
caggiana, comu varca mmasunata,
Se
gode lu sule e quista beddha arbata.
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Il
Cestaio
A Salve il mestiere del
cestaio, anticamente, era molto ricercato perché forniva una vasta
gamma di utili contenitori:
-
“panare”
per il trasporto del pane
;
-
“panari”
e
“panareddi” per contenere frutti freschi, olive;
-
cesti per contenere
pane affettato ed altro .
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Per realizzare questi
manufatti i pochi artigiani rimasti usano virgulti
d’ulivo, di ristinco (vinchi) e canne che attorcigliano e
intrecciano con grande pazienza.
Il
cestaio realizza, anche “cannizzi”, fatti con
canne tagliate ed intrecciate. Si usano ancora
oggi per essiccare pomodori, peperoni, fichi, zucchine e melanzane.
Nel
nostro paese i cestai realizzavano
anche tende in giunco,
per
ripararsi dal sole e dalle mosche.
Gli
ultimi artigiani abili in quest’arte sono: Biscozzo Luigi, Nuzzello
Angelo e Ciullo Vito.
La
Ricamatrice
L’arte
del ricamo è antichissima e nel
nostro paese è stata praticata da molte donne, che , da questo
impegnativo lavoro, potevano ricavare da vivere dignitosamente. Le
loro case erano affollate da moltissime
‘discipule‘, che dovevano imparare i segreti del ricamo, del
tombolo, dell’uncinetto o di
altri sistemi di ‘disegnare
con il filo’.
Il
paziente lavoro del ricamo o del tombolo tende ad una armonia, mai
raggiunta, fatta da corrispondenze di disegni e forme, sulle quali la mano
esperta della maestra porta l’ago a tesserne
la trama.
Essa è un
insieme di segni, che formano un elaborato geometrico, esistente
già nella mente della maestra- disegnatrice
e che, giorno dopo
giorno, prende corpo o in una stupenda coperta all’uncinetto o in un
fine ricamo di tovaglia.
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