I Fani: un territorio da riscoprire e salvaguardare

  

C'è un luogo remoto e solitario, lontano dal centro abitato di Salve, nel Salento, dove l'occhio, scivolando tra i filari interminabili delle viti, si perde negli orizzonti del mare, dove acque sorgive sgorganti direttamente dalla roccia scorrono fresche lungo un suggestivo canale naturale coperto da canneti perenni, dove arte e storia, mito e leggenda, natura selvaggia ed archeologia, nobiltà e schiavitù, passato e presente, sacro e profano, si abbracciano in armonie celesti (1).

  

La denominazione “Fani” si ritiene provenga da “Fanum”, parola latina con la quale si indica un luogo dedicato alle divinità, un tempio o un santuario.

In questo territorio infatti, tradizione vuole che esistessero tre templi: quello posto all’interno della leggendaria “Grotta delle Fate”, quello dedicato a Bacco del “Villaggio di Spigolizzi” situato sulla collina dei Profichi, ed il tempio pagano delle “Serrazze” che si ritiene fosse ubicato nel luogo dove successivamente fu costruita la Cappella del SS. Crocefisso (2) 

    

 

 

I Fani

(Foto Fabian De Fusco)


   

Il corso d'acqua del Canale dei Fani

   

Le valle del “Canale dei Fani” che si ritiene si sia creata circa 10 milioni di anni fa in seguito ad un abbassamento della piattaforma cretacea, è stata caratterizzata nel tempo da un articolato fenomeno di erosione della roccia calcarea dovuto all’azione del corso d’acqua.

   

 (Foto Fabian De Fusco)

   

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Il corso d’acqua del Canale dei Fani, seppure alimentato da acque sotterranee attraverso una serie di affioramenti e di piccole sorgenti nei tratti superiori, diventa perenne solo a partire dalla sorgente posta sotto “La Chiusa”.

Il flusso più forte infatti, scaturisce da una piccola grotta.

In quel punto si stima che la portata sia di circa 100 litri al minuto.

La portata massima si ha invece a circa 100 metri a sud della grotta, dove la portata raggiunge circa gli 800 litri al minuto (3).

  

Nella foto a lato: La sorgente all'interno della grotta (Foto di Fabian De Fusco)

  

Un tempo questo corso d'acqua giungeva sino al mare.

Le vecchie mappe del catasto dei beni demaniali provinciali riportavano infatti una lunghezza di ben 6,58 km. Oggi invece il Canale si ferma a metà strada.

    

Il Canale dei Fani è molto ricco di vegetazione. Nella parte iniziale si possono ammirare monumentali alberi di noce mentre non è raro scorgere orchidee selvatiche.

Più avanti è possibile notare la presenza di carrubi secolari e di piante rarissime nel Salento come l’Iris Unguicularis Poir. (nella foto) ed il Vitex Agnus-Castus, mentre i costoni sono coperti da gariga a cisti, lentisco ed arbusti caratteristici della macchia mediterranea.

     

   

Vista aerea della valle del Canale dei Fani

(dall'altezza della Masseria fino al mare)

(Foto Giuseppe Negro)


   

Gli insediamenti messapici dei Fani

  

Fu proprio la presenza delle sorgenti d'acqua, cosa assai rara nelle aride terre salentine, a favorire sin dall'antichità l'insediamento di villaggi abitati.

   

Cassandra

    

Sulla collina denominata "Profichi", posta ad ovest del Canale a breve distanza dalle Masserie "Spigolizzi" e "Profichi", sorse la leggendaria cittadella di Cassandra, dove, secondo la tradizione,  c’era il mulino che macinava le pepite d’oro e che fu distrutta nel 548 d.C. ad opera dei Goti.

   

L'insediamento di Spigolizzi

   

Risale alla prima parte del Bronzo Medio (XVI-XV secolo avanti Cristo). Molti lo identificano in Cassandra.

Da una raccolta di superficie, effettuata negli anni '60 dal gruppo speleologico "De Lorentiis", furono rinvenuti numerosissimi reperti ceramici (frammenti di anse, piatti, tegami, ciotole, olle e vasi) e faunistici.

Qui, in un terreno successivamente chiamato "San Torneo", esisteva secondo la tradizione il Tempio dedicato a Fauno o a Bacco.

  

Nella foto: reperti rinvenuti a Spigolizzi

   

   

 

 


        

Il Villaggio della Chiusa

   

Ad est invece, è stato scoperto il sito messapico della Chiusa, oggetto di una esplorazione sistematica compiuta, a partire dal 1987, da ricercatori ed archeologi dell’Università di Sidney, in collaborazione con l’Università di Lecce.

Delle mura ciclopiche realizzate con grosse pietre, larghe sino ad otto metri ed alte quattro, cingevano l’abitato, cui si poteva accedere esclusivamente da una imponente porta. Oggi delle mura sono rimasti solo alcuni resti e la porta d'ingresso ad ovest.

   

Il perimetro circolare della Chiusa

Il sito archeologico

(Foto di M. Fersini)

Rielaborazione grafica della fortificazione

   

Numerosi reperti sono stati rinvenuti alla Chiusa; frammenti di vasi ed anfore, iscrizioni messapiche con caratteri greci dal significato ancora oscuro, frammenti di ossa, un’immagine di Dionisio, ecc..

Questo villaggio messapico fu abbandonato definitivamente intorno al 470 a.C. a causa, probabilmente, del periodo critico che l’intera Messapia stava attraversando, contrassegnato dai ripetuti scontri con la colonia greca di Taranto.

     

   

  

I monaci Basiliani nel feudo dei Fani

  

Quando nel 727 l'Imperatore bizantino Leone III Isaurico ordinò che in tutte le province dell'Impero d'Oriente fossero rimosse e distrutte le immagini sacre e le icone, ebbe inizio la guerra iconoclasta.

Per sfuggire ai massacri, migliaia di monaci abbandonarono le province orientali dell'Impero e si trasferirono nelle regioni meridionali dell'Italia e nel Salento, rifugiandosi nelle campagne.

I monaci furono promotori di una rinascita sociale ed economica, in quanto i non si dedicarono solo alla preghiera e all'ascesi, ma anche al lavoro dei campi e alla produzione del vino e dell'olio.

 

I monaci Basiliani giunsero anche Salve e si stabilirono nel territorio dei Fani dove diedero vita ad una comunità religiosa organizzata secondo le regole di San Basilio da Cesarea (nell'icona a destra).

 

Ancora oggi, lungo il costone orientale del Canale dei Fani, si possono ammirare le loro cripte, una delle quali affrescata con immagini sacre, dove i monaci si riunivano in preghiera.

Aldo Simone descriveva così una delle cripte: "Lunga circa tre metri, alta due ed altrettanto larga, su una parete della quale si intravedono ancora alcune figure di santi dalla testa aureolata".

  

La Cripta Basiliana affrescata

   

E' situata a circa 150 metri dalla Masseria, lungo il dorsale orientale del Canale. Ha una pianta allungata articolata in due ambienti.

Sulla parete posta a destra dell'ingresso si osservano ancora i resti della decorazione pittorica ad affresco, miracolosamente conservatasi nonostante le condizioni di avanzato degrado in cui versa il monumento.

 

 

L'ingresso della Cripta

(Foto Serafino)

 

Le immagini dei Santi

(Foto Serafino)

 

Si riconoscono otto personaggi nimbati. Tra tutti l'unico identificabile è San Pantaleone, il cui volto è riconoscibile nonostante la parziale caduta d'intonaco che coinvolge la zona del naso, della bocca e dell'attaccamento del collo. Il Santo indossa un corto mantello rosso che copre le spalle ed un abito blu arricchito ai lati e sull'orlo inferiore da una bordura ocra (4).

 

Sempre ai Fani ma in contrada "Cherubini" sono invece presenti le "Laure", ossia le grotte dove abitavano i monaci. In una di queste c'è una croce scolpita nella roccia con una àncora all'estremo inferiore, simbolo del saluto cristiano dei monaci d'Oriente: la croce della salvezza (5). 

  


   

La Masseria dei Fani  

  

La masseria dei Fani sorge in cima al versante orientale del Canale, a brevissima distanza dal sito archeologico della “Chiusa”. Domina l’intera zona e offre una vista panoramica per tutta l’area circostante.

I fabbricati della masseria sono molto antichi e sono stati ripetutamente rimaneggiati.

La torre invece, fu edificata nel 1577 dalla famiglia Gonzaga di Mantova, Conti di Alessano.

 

Nella foto: alcuni fabbricati e la torre (Foto Serafino)

 


  

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La "Grotta delle Fate"

  

Nel territorio dei “Fani” sono presenti alcuni fenomeni carsici quali inghiottitoi e grotte.

Il più conosciuto è senza dubbio l’inghiottitoio noto col nome di “Grotta delle Fate” che è stato esplorato nei primi anni ’60 a cura del Gruppo Speleologico Salentino  “Pasquale De Lorentiis” di Maglie.  

  

Ubicato a 30m sul livello del mare, l’inghiottitoio fa parte di un sistema carsico sotterraneo che è interessato da un modesto insieme di ambienti intercomunicanti molto intricati e  pericolosi a causa di fenomeni franosi.

In particolare la prima sala, di circa 20 metri di diametro e di forma ovoidale, ha il pavimento integralmente coperto da massi franati dalla volta. Qui le formazioni stalattitiche sono di scarsa entità.

A sud-est parte un breve cunicolo interrotto da una frana. Sulle pareti è presente qualche graffito.

Un secondo stretto cunicolo per direzione nord-ovest immette in una seconda sala, anche questa di forma ovoidale e coperta da frana, avente un diametro di circa 15 metri.

Un salto di circa tre metri porta in un corridoio che è stato esplorato solo per circa settanta metri (6).  

 

La Grotta ed i rifiuti...

Per molti anni, purtroppo, la Grotta delle Fate è stata utilizzata da alcuni irresponsabili come una vera e propria discarica. All'interno dell'inghiottitoio sono stati scaricati rifiuti e materiale vario; le varie amministrazioni locali, nel corso degli anni, non sono mai riuscite a bloccare definitivamente questo vergognoso fenomeno. 

L'immagine della grotta riportata in questa pagina è stata realizzata nel gennaio del 2001; la sovrapposizione della Fata ha lo scopo di nascondere alcuni rifiuti presenti in quel periodo nella cavità. (Foto R. Negro)

   

La Grotta delle Fate tra storia e leggenda

Nell'interpretazione dei ragazzi della Scuola Elementare di Salve

   

Sulla grotta delle Fate sono state tramandate diverse leggende; fra queste quella delle "Fate" è la più antica delle leggende salentine. E' stata raccolta dal Tasselli in “Antichità di Leuca”.  

I testi e le immagini proposti di seguito sono tratti dal lavoro "Salve Turista" realizzato dai ragazzi della Scuola Elementare di Salve nell'anno scolastico 1998/99.

 

La leggenda delle Fate

 

Era notte.

Alcuni contadini, dormienti nei campi, furono svegliati all'improvviso da un corteo di leggiadre fanciulle danzanti e di orrendi esseri che suonavano una dolce melodia di flauti.

Con loro meraviglia il corteo scomparve in una voragine del vicino canale.

L'indomani i contadini, dopo aver cercato inutilmente nella grotta le misteriose fate, riferirono l'accaduto in paese e da allora tutti ebbero paura di avvicinarsi all'oscuro antro.  

A lungo fantasticarono sulla magica visione e cercarono di identificare con ninfe e creature dei boschi le enigmatiche fate.  

 

  

La leggenda del  Trappeto d'oro

 

Un giorno un giovane pastore, Nicolino, per cercare le pecore smarrite, si avventurò nella grotta.

Seguendo l'abbaiare del suo cane, Nicolino scoprì in fondo ad un cunicolo un'altra grotta, al cui centro c'era una massiccia macina di pietra con nella vasca sassolini d'oro al posto delle olive.

All'improvviso la macina cominciò a girare da sola, come per magia, e a macinare oro.

Nicolino, spaventato e stupefatto, corse in paese ad avvisare i compaesani, i quali si affrettarono verso la grotta per accaparrarsi la ricchezza.  

Ma una volta entrati nella grotta favolosa e toccata la polvere d'oro, la macina si fermò e il frantoio in un istante diventò un vecchio e impolverato rudere.  

Nella rabbia generale qualcuno scoprì sulla macina una scritta che diceva: "Pòppiti ca avutru nù ssiti, stati 'ntre l'oru e no lu canuscìti".

Così capirono che era inutile cercare ricchezze irraggiungibili e vane, perchè il vero oro era quello donato dalla loro terra: il prezioso olio delle nostre copiose olive.

 


NOTE BIBLIOGRAFICHE

(1) Cesare Daquino, Annu Novu Salve Vecchiu ediz. 2000, pag. 8

(2) Marcello Fersini, Annu Novu Salve Vecchiu ediz. 1995, pag. 14

(3) J. P. Descoeudes, E. Robinson, La Chiusa alla Masseria del Fano, pag. 87

(4) N. Sammarco, Insediamenti rupestri nel capo di Leuca, pag. 29

(5) Aldo Simone, Salve Storia e Leggende, pag. 52

(6) Antonio Piccinno, Annu Novu Salve Vecchiu ediz. 1990, pag. 21


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